mercoledì 20 gennaio 2016

Esplora il significato del termine: Carne e cibi di origine animale, quello che gli spot non dicono

Spot-verità nelle sale cinematografiche di 50 città italiane per mostrare cosa c’è dietro la produzione negli allevamenti intensivi. La campagna finanziata in crowdfunding





Mucche felici che trascorrono le giornate in un verde pascolo, galline che becchettano serene in una grande aia all’aperto, maiali sorridenti che ammiccano dalle confezioni di prosciutto a fette. Il cibo di origine animale che arriva nelle case degli italiani è spesso accompagnato da immagini rassicuranti, utilizzate negli spot pubblicitari, nelle campagne promozionali e sullo stesso packaging dei prodotti chiamato a catturare l’attenzione del consumatore dallo scaffale di un supermercato. Ma la realtà è ben diversa: gran parte delle derrate destinate al consumo di massa provengono da allevamenti intensivi dove non esiste nulla di quanto mostrato dalle pubblicità e dove gli animali conducono una (non) esistenza finalizzata all’ingrasso in gabbia, in un capannone o in una stalla da cui non vengono mai fatti uscire. Una situazione di malessere, di sofferenza e di disagio che trasforma esseri senzienti in semplice materia prima. Lo denunciano da sempre le associazioni animaliste ed ambientaliste (perché gli allevamenti intensivi hanno anche un forte impatto sull’ambiente e sull’inquinamento) e per la prima volta da giovedì il tema sarà oggetto di una campagna di informazione nelle sale cinematografiche di 50 città italiane: con quelli che definisce «spot-verità» l’associazione Ciwf Italia ha deciso di portare la questione direttamente all’attenzione del grande pubblico. L’iniziativa è stata finanziata con una raccolta di fondi in crowdfunding che ha visto la partecipazione di circa 450 donatori.

Set pubblicitari e vita reale

I messaggi durano 30 secondi e parafrasano un vecchio claim televisivo degli anni Ottanta («Apri la bocca / chiudi gli occhi»). «Vogliamo mostrare quelle immagini che i consumatori non potranno mai vedere nelle pubblicità o sulle etichette dei prodotti di origine animale – spiegano dall’associazione -. Il nostro spot mostra le vere condizioni in cui gli animali vengono cresciuti nella grande maggioranza degli allevamenti italiani e invita le persone ad acquistare consapevolmente». Non tutta la carne, il latte e i loro derivati provengono dalla produzione intensiva. Ma è difficile per il consumatore comprendere la differenza tra un prodotto e l’altro. In alcuni casi, le uova per esempio, una possibilità di scelta è data dal codice stampigliato sul guscio: se il numero inizia con «0» si tratta di uova provenienti da animali allevati con metodo biologico, se inizia con «1» si tratta comunque di galline allevate all’aperto; se invece il codice inizia con il 2 o il 3 allora la provenienza è da un allevamento di tipo industriale al chiuso. Ma quello che è possibile con le uova non lo è con tutti gli altri prodotti e spesso la pubblicità trae volutamente in inganno. Di qui la scelta di Ciwf Italia di parlare ai consumatori con immagini vere, tratte dalle investigazioni in incognito condotte dai propri volontari, che raccontano in pochi secondi quel che spesso si cela dietro le produzioni animali.



«Informazioni ingannevoli»

«Il benessere animale, in gran parte degli allevamenti, è il grande assente – commenta Annamaria Pisapia, direttrice di Ciwf Italia -. Un’assenza che l’industria che produce carne, latte e uova cerca di nascondere in tutti i modi con programmi di comunicazione pieni di informazioni ingannevoli che confondono i consumatori. Eppure il benessere animale dovrebbe essere considerato una componente basilare del cibo di qualità, quale quello italiano aspira ad essere». Il concetto è insomma che animali allevati in condizioni migliori siano animali anche più sani – non solo più felici, aspetto a cui magari parte della popolazione non è sensibile -, non subendo per esempio le conseguenze della immunodepressione causata dal confinamento di centinaia o migliaia di capi in spazi ristretti. Una situazione, quest’ultima, che rende necessario un maggiore ricorso ad antibiotici, con la conseguenza di uno sviluppo nel tempo di forme di antibioticoresistenza, di fatto la perdita di efficacia degli antibiotici stessi.



Le conseguenze sull’ambiente

Ma gli allevamenti intensivi portano con sé anche una serie di problematiche di tipo ambientale: per il consumo di grandi quantità di acqua, per la vasta occupazione di suolo (anche per coltivazioni intensive di cereali non destinati al consumo umano ma all’industria dei mangimi per animali), per l’enorme massa di liquami da smaltire, per le conseguente sull’inquinamento atmosferico causate sia dalle emissioni gassose degli stessi animali sia dagli scarichi dei mezzi di trasporto necessari a movimentare animali vivi o tagli di carni.



Etichette non trasparenti

Non tutto il cibo di origine animale proviene da allevamenti intensivi o di tipo industriale. Ma mentre per le uova esiste una normativa sull’etichettatura, quella dei codici stampigliati sui gusci appunto, che offre al consumatore un’indicazione chiara delle modalità di allevamento delle galline, per il resto dei prodotti è tutto lasciato alla volontarietà delle aziende. Va da sé che solo quelle che producono con metodi biologici o che ricorrono all’allevamento all’aperto hanno interesse a pubblicizzarlo. Le altre, in assenza di obblighi di legge, continueranno a mostrare mucche felici, prati verdi e maialini sorridenti.

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