domenica 8 marzo 2015

Micaela Ramazzotti, double face

AI cinema fa la mamma da quando era giovanissima. Ora che ha due bambini, dice: «La mia vita è iniziata con loro». Ma un ruolo le frulla in testa: «Una “bella di giorno”, devo solo trovare il mio Buñuel»

«De André, De Gregori... », Micaela Ramazzotti snocciola la sua playlist alla stylist di Gioia! che le chiede quale musica preferisca ascoltare durante il servizio fotografico. «Serve roba più energica, eh? I Beatles?».

Della verace Simona Peluso che interpreta ne Il nome del figlio, remake di una popolare commedia francese (Cena tra amici), diretto da Francesca Archibugi, in questi giorni al cinema, non c’è quasi più traccia. Non la silhouette prorompente e nemmeno la bionda chioma cotonata «quella cofana a fontana che ondeggia minacciosamente quando le si scalda il sangue».

La ragazza-elfo che ora saltella sulle note di Penny Lane davanti all’obiettivo del fotografo ha gli stessi occhi da cerbiatto ma i capelli scuri del suo prossimo personaggio al cinema: la lavoratrice ossessiva e sociopatica di Ho ucciso Napoleone di Giorgia Farina (dal 26 marzo).

Eppure qualcosa della strabordante Simona, Micaela ce l’ha ancora addosso. «Come tutti i personaggi di Francesca (Archibugi, ndr) è a strati, appena la vedi ti dà l’idea di una un po’ superficiale. Ma basta che qualcuno la provochi e diventa la tigre di Casalpalocco... Così la descrive il copione. Una un po’ borobbobbò».

Borobbobbò?
Le chiamo così, a Ostia sanno cosa intendo. Ce ne sono tante: assertive, schiette, colorite. Mi piacciono, perché sono toste, menano, non come me che me la faccio sotto!

E gli altri suoi strati?
L’ultimo è la rivelazione del film: questa donna, che i suoi familiari acquisiti, i Pontecorvo, intellettuali e un po’ snob, considerano con sufficienza, è una persona che sa osservare e forse ha addirittura un talento da narratrice. Alla fine hai quasi la sensazione che la storia di quella notte d’estate, in cui i Pontecorvo litigano, bevono, ballano sulla musica di Dalla, l’abbia scritta lei.

L’ha tanto amata che ha prestato le riprese del parto della sua ultima nata al finale del film.
Io e Francesca non l’avevamo annunciato a nessuno. Il copione prevedeva una scena di un parto. Ai tempi ero incinta di Anna, lei m’ha proposto di girarla dal vero. Ho risposto di sì. Poi ho pensato: «E ora chi lo dice a Paolo?» (il regista Virzì, suo marito, ndr). Ho pregato Francesca di farlo lei: sono amici fraterni da più di vent’anni.

E Virzì che ha detto?
«Siete due pazze, ma fate voi». Mi fido di Francesca, sono talmente innamorata del suo modo di raccontare che mi può chiedere qualsiasi cosa, posso tuffarmi con la certezza d’essere presa e salvata. Lì con me non c’era più la mia regista, ma un’amica che m’ha insegnato tanto. Alla fine m’ha stretto la mano e non ha tratteneuto le lacrime.

Scegliendo il nome di un nascituro proiettiamo anche idee e speranze sul futuro. A voi come è andata?
Ci abbiamo pensato tanto. Jacopo, che ha ora cinque anni, ha un nome toscano: è stato concepito a Livorno, mentre giravo La prima cosa bella. Nell’albergo di fronte a San Jacopo, la chiesa sul mare dove s’è sposata mia suocera, che ora non c’è più. Anna è un nome biblico, da santa, regina, popolana. Anna anche è il personaggio de La prima cosa bella. Mi sarebbe piaciuto chiamarmi così.

Da dove viene invece Micaela?
Non so. Sembra il nome di una pornostar tedesca. Ma a mia madre piaceva, le suggeriva forse qualcosa di esotico.

Anche nel prossimo film è incinta. Cos’è, un karma?
Sa quante madri ho fatto, anche da giovanissima? Avevo 26 anni anni e già figli di 13, 14. Ma ho fatto molto altro.

Potesse scegliere, chi vorrebbe interpretare?
Una donna misteriosa, dark, magari in un film erotico. Una figura doppia, una moglie e madre inappuntabile, che quando esce diventa un’altra. Una Bella di giorno, ma come la Deneuve dovrei trovare il mio Buñuel.

Tutto è cominciato con una sua foto spedita a un giornale: una ragazzina con un costume arancione...
Oddio sì. Era di spugna: una biondina riccetta su un lettino a Riccione. Chissà se mia madre la conserva ancora.

Cosa racconterà di quella ragazzina ai suoi figli?
È presto. Jacopo comincia a mettere a fuoco: un anno fa mi ha visto in un film in tv e si è rivolto allo schermo: «Mamma, rispondimi». E io ero lì, accanto a lui... amore.

Povero.
Perché? Ora sa che la mamma fa un lavoro di finzione, che deve cambiare spesso anche il colore dei capelli. Ma travestirsi, mettere in scena piace anche a lui. La casa e la terrazza sono ormai un mix tra un asilo montessoriano, un atelier creativo e un centro sociale.

Ci sta tanto coi bambini?
Parecchio, faccio una media di due film l’anno, si girano in poche settimane, tutto il resto è per loro.

Nostalgia di quand’era ragazza?
No, la mia vita è cominciata con i bambini. Ora mi diverto di più, guardo il mondo con altri occhi. Però chissà...

Chissà cosa?
Se la foto col costume è ancora da mia madre. O magari se ne sta lì sepolta negli archivi della corrispondenza dei lettori di quel giornale...

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